martedì 14 luglio 2015

Dietro le sbarre

Fa caldo, troppo. Di nuovo una lunga estate: la odio.
Darei tutto quello che ho per un gelato: una coppa mista alla frutta. Mi scolerei anche una bibita ghiacciata. Poi ci starebbe bene un tuffo in piscina e un massaggio, fatto da una pupa da urlo.
Purtroppo non ho merci di scambio, quindi mi devo accontentare delle leccornie che mi passano qui al grand hotel; alta cucina con ingredienti di prim’ordine e servizio in camera.
Un'altra giornata nel mio lussuoso appartamento numero 135: sei metri quadrati, con servizi e vista parziale del cielo. Bisogna che protesti con la direzione e mi faccia spostare.
Cinque stelle all-inclusive, camera con vista, pay-tv e belle ragazze: questa era la vita a cui ero abituato. Con il mio lavoro tiravo su parecchia grana; certo correvamo qualche rischio, io e gli amici, ma si sa, chi non risica non rosica. Quindi andava bene così.
Qualche rischio e forse anche qualcosa di più. Ma cazzo, era una nostra scelta. Ci andava bene così; tre soci e nessun padrone. Le nostre merci andavano forte e rendevano bene; inoltre ci muovevamo su itinerari poco battuti. Neanche i poliziotti incrociavano le nostre rotte, la concorrenza operava in settori diversi e c’era un tacito accordo per non pestarsi i piedi a vicenda.
Fino alla volta in cui toccò a John e Frank: i miei compari di una vita di corse e di bevute. Per non parlare delle puttane che ci scambiavamo nelle bettole vicino ai porti; non c’era un capo tra noi, ci bastava un cenno d’intesa e una strizzatina d’occhio. Ci capivamo al volo e così ce la sfangavamo sempre; anche quando la polizia o i doganieri facevano irruzione nelle taverne. Pagavamo bene e nessun oste o barman ci hai mai impedito di scappare dall’uscita di servizio; non era necessario minacciarli, lasciavamo dei regali per loro o le mogli. Così potevamo scolarci il meglio e avevamo le ragazze più calde.
Fino a quella maledetta sera, o era mattino? Non so, le giornate sono monotone quando porti un carico e le ore non passano mai; spesso ascoltavo musica, mentre John e Frank dormivano nella stiva. Heavy metal: direte che è fuori moda, ma aveva il potere di rilassarmi, di tenermi concentrato sul percorso.
Qui non me lo permettono: dicono che disturba i vicini e li innervosisce. Il personale dell’ hotel è scorbutico,  quasi non esisto e, se insisto, mi tolgono anche la tv.
-             Non c’è segnale,  - dicono  - colpa del tempo.
-             Ma se c’è un sole che cuoce il cervello.
-             Appunto, troppo caldo.
-             Infatti ho sete, mi dareste una bottiglia di minerale?
-             Vuoi scherzare amico? Leggi qualcosa e sta’ zitto.
La mia conversazione standard con il personale di servizio; una scusa per sentirmi meno solo nella mia suite 135.
Comunque, che fosse sera o mattino, le cose non cambiano: i miei amici uscirono e furono subito bloccati dai nostri inseguitori con  le armi spianate.
-             Io non mi lascio prendere da quei bastardi – disse John.
-             Non fare cazzate; – rispose Frank – sempre meglio che rimetterci la pelle.
Io guidavo e vi assicuro che andavo alla grande: in quel periodo ero il migliore,  conoscevo tutte le rotte alternative e le scorciatoie. Vi dico che nessuno riusciva a starmi dietro, almeno fino a quella maldetta volta.
Le giornate qui sono lunghe e noiose; il tempo non passa mai. Almeno avessi una donna: mi hanno detto che in posti come questo qualcuno le può tenere. Qui nemmeno quello, solo sbobba a pranzo e cena, tv con programmi da suicidio e niente altro. Noia infinita. Solo qualche ora all’aperto; per fortuna è arrivata la bella stagione, senza le maledette piogge acide. Ma c’è questo sole, enorme, caldo. Mi sciolgo nel sudore, ci annego quasi, mentre sogno bagni al mare e in piscina.
Intanto il cervello gira, gira, gira. E tornano le immagini.
-             Oggi abbiamo un bel carico, vero ragazzi ?– dissi mentre guidavo, quella sera.
-             Ce la spasseremo alla grande - annuì Frank.
-             Alla grande - fece eco John.
L’allegria fu spazzata via, come una foglia in una bufera, dal primo colpo: raggiunse il fianco sinistro della nave, facendoci cadere dai sedili Il secondo ci colpì nella torretta, posteriormente, e ci mando in frantumi il radar.
-             Cazzo! Adesso la polizia spara senza preavviso – gridai.
-             Non sono loro; dacci dentro, non devono fermarci.! – John era terrorizzato.
Ce la misi tutta, usando trucchi e manovre diversive, ma avevano un mezzo più efficiente e molto recente. Quei bastardi riescono sempre ad avere il meglio; ci raggiunsero e speronarono, poi ci intimarono di fermare. Gli amici uscirono sul ponte, armi in pugno; io, rimasto incastrato tra il sedile e la plancia di comando, potei solo guardare la scena; la rivivo ogni giorno, fotogramma dopo fotogramma. Sei di quei grossi bastardi saltarono dai loro veicoli nuovi sulla nostra nave, impugnando armi pesanti. Non avevo mai visto così: grosse, nuove e con l’aria di essere parecchio potenti.
John alzò il suo fucile.  Frank gridò. I bastardi spararono tutti insieme. Io svenni.
Mi sono risvegliato in questa cella, non so dirvi se dopo un’ora o dopo un giorno. Due metri per tre, con una finestra di cinquanta centimetri, pareti dipinte di rosso: si avete capito bene, non un bel giallo chiaro o un verde riposante. No, rosso sangue, come quello dei miei amici che quei bestioni hanno crivellato di colpi, riducendoli in polvere.
 E’ così ogni mattina, da dieci anni; poi l’incubo prosegue a occhi aperti. Tutto il giorno, tutti i giorni,  tutta la vita che mi resta. Almeno avessi una donna.

-             Apri il cancello: vado a prendere quello della 135 e lo porto fuori. E’ quasi l’orario d’ingresso; oggi è festa e ci saranno parecchi visitatori. – Il guardiano è stanco; duecento chili di peso e peli lunghi trenta centimetri non sono il massimo quando fa caldo.
-             Che stress vero? Con le belle giornate tornano tutti: confusione e bambini che gridano. –  dice il collega, mentre sblocca il cancello col telecomando laser.
-             Che vuoi farci,  mi hanno stufato, specie gli uomini: soffrono a stare dietro le sbarre e diventano apatici. Spiacente per loro, ma il mio è solo lavoro; non posso farci nulla se sono loro l’attrazione più richiesta dello zoo galattico qui su Aldebaran.

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